«In un commento apparso nel numero dell’11 aprile 2015 (1), Richard Horton, direttore della rivista The Lancet (la più nota e diffusa rivista di scienze biomediche a livello internazionale), lanciava un allarme destinato a suscitare clamore nella comunità scientifica dei medici. “Gran parte della letteratura medica pubblicata è sbagliata” – questo l’assunto principale della denuncia proposta senza mezzi termini dall’Autore. Riferendosi ai risultati emersi in occasione di un simposio sull’attendibilità della ricerca scientifica in ambito medico, svoltosi a Londra qualche settimana prima, Horton nei sintetizzava le conclusioni con una dichiarazione tanto perentoria quanto allarmante: “qualcosa è andato fondamentalmente male in una fra le più grandi creazioni umane”, al punto da poter affermare che “più della metà dei saggi scientifici di argomento medico potrebbe essere semplicemente falsa”. Studi incoerenti, analisi non valide, conflitti di interesse, oltre all’ossessione di perseguire delle tendenze dubbie, inducono a ritenere che la scienza abbia imboccato una strada buia.
Nell’articolo venivano accennate le cause di una così sbalorditiva, e preoccupante, distorsione degli studi in questo settore. Nessuno è realmente incentivato ad agire con correttezza, perché i ricercatori sono piuttosto incoraggiati a essere produttivi e innovativi, anziché a raggiungere risultati veri. La competizione prevale sulla collaborazione. L’interesse a ottenere finanziamenti ha la meglio sul rispetto dei protocolli di indagine. Horton concludeva la sua amara analisi con una considerazione tutt’altro che esaltante: “La buona notizia è che la scienza [medica] sta cominciando a prendere molto seriamente alcune fra le sue mancanze. La cattiva notizia è che nessuno è pronto a fare il primo passo per ripulire il sistema”.
Per quanto autorevole, l’opinione espressa con tanta durezza dall’Autore britannico potrebbe apparire come espressione di un’isolata – e sproporzionata – preoccupazione di un troppo severo “addetto ai lavori”, il cui giudizio non sia peraltro condiviso dalla stragrande maggioranza dei membri della comunità scientifica. Non è così. Basti riferirsi alla non meno inquietante valutazione proposta, alcuni anni prima, da Marcia Angell, Medico ed Editore, l’unica donna che sia stata per molto tempo a capo del New England Journal of Medicine, vale a dire la più antica rivista di medicina del mondo, tuttora annoverata fra le più prestigiose. Ebbene, secondo l’Autrice statunitense, “non è più possibile credere alla gran parte della ricerca clinica che viene pubblicata, o fare affidamento sul giudizio dei medici di fiducia o su linee guida mediche autorevoli. Non gioisco di questa conclusione, che ho raggiunto lentamente e con riluttanza dopo i miei due decenni come direttore della rivista” (2).
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Sebbene, nel corso della storia, la tendenza ad attribuire alla medicina un carattere compiutamente scientifico sia frequentemente ricomparsa, si può considerare ormai acquisita, almeno nella comunità scientifica, la tesi dell’irriducibilità della medicina alle cosiddette hard sciences, quali la matematica o la fisica, o alla nuova generazione delle scienze novecentesche, dall’informatica alla telematica. Almeno fino a quando il fulcro principale dell’indagine medica resterà la clinica, vale a dire un’attività complessa, comunque non riconducibile a un procedimento standardizzato su base matematica, sarà inevitabile che la medicina conservi una fondamentale ambivalenza, nella tensione fra una base rigorosa, sostanzialmente coincidente con i risultati resi disponibili dal progresso delle conoscenze propriamente scientifiche in campi come la fisica, la chimica, la biologia, e lo sviluppo di un’attività irrimediabilmente condizionata da una pluralità di variabili soggettive.
La conclusione, ancorché provvisoria e puramente enunciativa, desumibile dagli spunti in precedenza menzionati è a questo punto in intuitiva: “La medicina non è una scienza, è una pratica basata su scienze e che opera in un mondo di valori. È, in altri termini, una tecnica […] dotata di un suo proprio sapere, conoscitivo e valutativo, e che differisce dalle altre tecniche perché il suo oggetto è soggetto: l’uomo” (3). D’altra parte, a un esame più attento, la stessa definizione ora riportata risulta valida soltanto in prima approssimazione, perché include riferimento ad alcuni concetti – “medicina”, “tecnica”, “pratica”, “scienza”, “sapere” – ciascuno dei quali esige di essere accuratamente chiarito anzitutto dal punto di vista etimologico e lessicale, e quindi anche sotto il profilo strettamente concettuale.
Di qui la scelta di porre al centro della riflessione svolta nelle pagine che seguono le parole della cura, vale a dire alcuni termini chiave, capaci di delineare nel loro insieme l’ambito, la natura, gli strumenti e le finalità di quella che convenzionalmente viene definita la scienza medica. Non un semplice “dizionario”, e neppure un regesto completo di terminologia medica. Ma piuttosto una ricognizione, deliberatamente parziale e non esaustiva, di alcuni fra i problemi fondamentali ad essa sottesi.
Nella descrizione di questo percorso si risalirà più volte, e non solo occasionalmente, alle origini storico-concettuali della medicina, affondando spesso anche nel repertorio mitologico, letterario e filosofico del mondo classico. Con la convinzione che, a differenza di ciò che si potrebbe superficialmente pensare, la storia della medicina non può essere paragonata “a una raccolta di francobolli” o un album contenente l’illustrazione delle invenzioni più celebri, comunque prive di interesse per gli sviluppi futuri della disciplina. Al contrario, un primo passo significativo nella direzione del superamento di una concezione riduttivamente positivistica della medicina può essere compiuto da un lato valorizzandone il percorso storico, i successi e le sconfitte, le conquiste e i fallimenti, le promesse mantenute e le inadempienze, e dall’altro lato misurandosi senza censure o rimozioni con le grandi questioni soggiacenti alle “parole” che ne definiscono il campo.»
Tratto dall’Introduzione de “Le parole della cura. Medicina e filosofia” di Umberto Curi
Raffaello Cortina Editore, 2017
(1) R. Horton, “Offline: What is medicine’s 5 sigma?, in The Lancet, 385, p. 1380.
(2) M. Angell, “Drug companies and doctors: A story of corruption”, in The New York Review of Books, 56, 15 gennaio 2009.
(3) G. Cosmancini, Il mestiere del medico. Storia di una professione, Raffaello Cortina, Milano 2000, p. XI