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Il mito inizia con una descrizione del deterioramento dell’ordine cosmico durante il trascorrere lento ma irreversibile dei quattro Yuga. Il sacro Dharma svanisce, quarto dopo quarto, dalla vita del mondo, finché non sopravviene il caos.
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Alla fine gli uomini sono pieni solo di concupiscenza e di malvagità.
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Non c’è più alcuno nel quale prevalga la bontà illuminante (Sattva): nessun vero saggio, nessun santo, nessuno che dica la verità e si attenga alla sua sacra parola.
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Il brahmano apparentemente santo non è migliore dello stolto.
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Gli anziani, privi della vera saggezza della vecchiaia, cercano di comportarsi da giovani, e ai giovani manca il candore della gioventù.
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Le classi sociali hanno perduto le virtù che le distinguono e le nobilitano; maestri, principi, mercanti e servi si abbandonano tutti in eguale modo alla volgarità generale.
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La volontà di elevarsi ad altezze sublimi è scomparsa; i legami della comprensione e dell’amore si sono dissolti; domina un meschino egoismo.
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Sempliciotti indistinguibili l’un dall’altro si uniscono a formare una sorta di impasto sgradevole e appiccicoso.
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Quando questa calamità è toccata a quella che un tempo era l’armoniosamente ordinata Città dell’Uomo, la sostanza dell’organismo del mondo si è deteriorata al di là delle possibilità di recupero e l’universo è maturo per la dissoluzione.
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Il ciclo è concluso.
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La continua proiezione ed esteriorizzazione della nostra Sakti (energia vitale) specifica è il nostro «piccolo universo», la nostra sfera ristretta, l’ambiente immediato che ci circonda, tutto ciò che ci tocca e ci concerne.
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Noi popolano e coloriamo lo schermo neutro e indifferente con i personaggi e gli intrecci cinematografici del sogno interiore della nostra anima e cadiamo preda poi dei suoi eventi drammatici, delle sue gioie e sventure.
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Il mondo, non quale è in se stesso, ma quale è nelle nostre percezioni e reazioni ad esso, è il prodotto della nostra Maya o illusione.
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Lo si può descrivere come la nostra energia vitale, più o meno cieca, che produce e proietta forme ed apparenze demoniache e benefiche.
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Siamo così prigionieri della nostra stessa Maya-Sakti e del film che produce incessantemente.
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Tutte le volte che siamo coinvolti e impigliati in problemi cruciali e appassionanti abbiamo a che fare con le proiezioni della nostra stessa sostanza.
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Questo è l’incantesimo della Maya.
Questo è l’incantesimo dell’energia creativa che genera e sostiene la vita.
Questo è l’incantesimo della nescienza, il «non sapere come stanno davvero le cose».
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Tratto da
“Miti e simboli dell’India”
Heinrich Zimmer
Adelphi (III Edizione, 2012)
(pubblicato in prima data Martedì 11 Marzo 2025)